Carlo Ambrogio Cattaneo

Nato a Milano il 7 dic. 1645, novizio della Compagnia di Gesù il 1º nov. 1661, all'interno di questa si svolge, per lo più a Milano, il resto della sua esistenza. Insegnante di retorica nell'università gesuitica di Brera, ove pare privilegiasse, dell'"arte oratoria", il "dir tragico", resse anche, per qualche tempo, a Lecce il collegio del suo Ordine. Di gran lunga prevalente, comunque, sulle incombenze didattiche e amministrative, l'intensissima attività predicatoria del Cattaneo sia dal pulpito in chiese affollate per feste solenni e celebrazioni, sia in sedi più raccolte per un pubblico più ristretto, fidente nella sua direzione spirituale.

 

Di aspetto austero e severo e con lo sguardo accigliato, sapeva addolcirsi e, all'asprezza del rimbrotto, seguiva la pacata argomentazione persuasiva, così come la veemenza si stemperava sovente nell'arguzia rasserenante di pause umoristiche non aliena da cadenze popolaresche e dalla facile saggezza dei proverbi. Da qui il successo della sua predicazione non solo negli ambienti nobiliari e altoborghesi ma anche in quelli di più modesta estrazione sociale.

 

Tale predicazione si esplicò in più occasioni - la novena di s. Francesco Saverio, l'ottava del SS. Sacramento, la novena di s. Ignazio, le "quaranta ore del carnevale" - e sui temi più vari, dal "ragionamento" pel giubileo e attorno ad alcune reliquie esposte a Brera al "discorso" sulla manna caduta nel deserto ("figura" dell'altare del Santissimo) e all'orazione, in latino, sull'educazione dei fanciulli. Panegirista, esalta, in latino, "nella chiesa dell'università di Brera" all'aprimento degli studi, nell'autunno del 1683 la liberazione di Vienna; nel 1686 non lesina l'entusiasmo per la presa di Buda prorompendo in "viva Leopoldo, viva la religione, viva Iddio" a S. Fedele di fronte alla "real congregazione del SS. Entierro"; rievoca, nel duomo, "nell'ottava del santo", la figura di Carlo Borromeo; ricorda, nella chiesa agostiniana di S. Marco, i meriti di s. Agostino e in quella di S. Francesco le virtù di s. Antonio da Padova; celebra più volte la Vergine, ora immune dal peccato originale, ora "nella vigilia della natività", ora assunta; ribadisce la grandezza di s. Pietro apostolo; suscita commozione rappresentando Cristo finalmente "trionfante della sinagoga, dell'idolatria e dell'inferno"; si complimenta, nella chiesa del Giardino dei francescani riformati, per la canonizzazione, del 16 ott. 1690, di Pasquale Baylon. Oratore funebre, induce alla meditazione sul santo sepolcro la Congregazione del SS. Entierro; commemora i caduti in Fiandra ("anime forti cui dobbiamo il non aver avuto la guerra in casa") nelle esequie volute da Carlo II; scomparsa la regina Maria Luisa di Borbone che "non solo fu l'amata consorte, ma fu l'unico amore, anzi fu tutto il cuore del reggente monarca", tesse al “nobilissimo clero" della collegiata di S. Maria della Scala un'apologia della morte riscattata dal dolore ch'essa provoca; a S. Ambrogio loda il defunto Carlo Emanuele Maldura, dotto abate cisterciense. Col solo corroborante d'un rigido ritiro mensile, cercava di fare fronte al ritmo crescente dei suoi obblighi: le vigilie delle feste importanti, il buon andamento della novena, da lui promossa, dello Spirito Santo, le funzioni del venerdì, le sempre più fitte scadenze celebrative e commemorative, la cura delle congregazioni specie di quella dei cavalieri beneficiaria del suo impegno più continuato e sistematico. Infatti, oltre a dedicarle la domenica mattina e a radunarla, ogni sabato, per un "divoto oratorio" introdotto da un suo elaborato "discorso", organizzava, ogni anno, pei suoi membri - circa un centinaio - suddivisi a scaglioni, esercizi spirituali, per lo più di otto giorni, in una villa poco discosta da Milano. Ma, per quanto robusta, la sua fibra non resse al cumulo di tante fatiche, cui si prodigava con zelo fervido e scrupolo coscienzioso: logorato, il Cattaneo morì a Milano il 19 nov. 1705.

 

 

Nato a Milano il 7 dic. 1645, novizio della Compagnia di Gesù il 1º nov. 1661, all'interno di questa si svolge, per lo più a Milano, il resto della sua esistenza. Insegnante di retorica nell'università gesuitica di Brera, ove pare privilegiasse, dell'"arte oratoria", il "dir tragico", resse anche, per qualche tempo, a Lecce il collegio del suo Ordine. Di gran lunga prevalente, comunque, sulle incombenze didattiche e amministrative, l'intensissima attività predicatoria del Cattaneo sia dal pulpito in chiese affollate per feste solenni e celebrazioni, sia in sedi più raccolte per un pubblico più ristretto, fidente nella sua direzione spirituale.

 

Di aspetto austero e severo e con lo sguardo accigliato, sapeva addolcirsi e, all'asprezza del rimbrotto, seguiva la pacata argomentazione persuasiva, così come la veemenza si stemperava sovente nell'arguzia rasserenante di pause umoristiche non aliena da cadenze popolaresche e dalla facile saggezza dei proverbi. Da qui il successo della sua predicazione non solo negli ambienti nobiliari e altoborghesi ma anche in quelli di più modesta estrazione sociale.

 

Tale predicazione si esplicò in più occasioni - la novena di s. Francesco Saverio, l'ottava del SS. Sacramento, la novena di s. Ignazio, le "quaranta ore del carnevale" - e sui temi più vari, dal "ragionamento" pel giubileo e attorno ad alcune reliquie esposte a Brera al "discorso" sulla manna caduta nel deserto ("figura" dell'altare del Santissimo) e all'orazione, in latino, sull'educazione dei fanciulli. Panegirista, esalta, in latino, "nella chiesa dell'università di Brera" all'aprimento degli studi, nell'autunno del 1683 la liberazione di Vienna; nel 1686 non lesina l'entusiasmo per la presa di Buda prorompendo in "viva Leopoldo, viva la religione, viva Iddio" a S. Fedele di fronte alla "real congregazione del SS. Entierro"; rievoca, nel duomo, "nell'ottava del santo", la figura di Carlo Borromeo; ricorda, nella chiesa agostiniana di S. Marco, i meriti di s. Agostino e in quella di S. Francesco le virtù di s. Antonio da Padova; celebra più volte la Vergine, ora immune dal peccato originale, ora "nella vigilia della natività", ora assunta; ribadisce la grandezza di s. Pietro apostolo; suscita commozione rappresentando Cristo finalmente "trionfante della sinagoga, dell'idolatria e dell'inferno"; si complimenta, nella chiesa del Giardino dei francescani riformati, per la canonizzazione, del 16 ott. 1690, di Pasquale Baylon. Oratore funebre, induce alla meditazione sul santo sepolcro la Congregazione del SS. Entierro; commemora i caduti in Fiandra ("anime forti cui dobbiamo il non aver avuto la guerra in casa") nelle esequie volute da Carlo II; scomparsa la regina Maria Luisa di Borbone che "non solo fu l'amata consorte, ma fu l'unico amore, anzi fu tutto il cuore del reggente monarca", tesse al “nobilissimo clero" della collegiata di S. Maria della Scala un'apologia della morte riscattata dal dolore ch'essa provoca; a S. Ambrogio loda il defunto Carlo Emanuele Maldura, dotto abate cisterciense. Col solo corroborante d'un rigido ritiro mensile, cercava di fare fronte al ritmo crescente dei suoi obblighi: le vigilie delle feste importanti, il buon andamento della novena, da lui promossa, dello Spirito Santo, le funzioni del venerdì, le sempre più fitte scadenze celebrative e commemorative, la cura delle congregazioni specie di quella dei cavalieri beneficiaria del suo impegno più continuato e sistematico. Infatti, oltre a dedicarle la domenica mattina e a radunarla, ogni sabato, per un "divoto oratorio" introdotto da un suo elaborato "discorso", organizzava, ogni anno, pei suoi membri - circa un centinaio - suddivisi a scaglioni, esercizi spirituali, per lo più di otto giorni, in una villa poco discosta da Milano. Ma, per quanto robusta, la sua fibra non resse al cumulo di tante fatiche, cui si prodigava con zelo fervido e scrupolo coscienzioso: logorato, il Cattaneo morì a Milano il 19 nov. 1705.

 

(Si ringrazia il Dizionario Biografico Treccani, dove potete continuare la lettura e trovare molte altre informazioni)

 

Domenico Beltramelli

Domenico Beltramelli appartiene a una famiglia luganese di Torricella, poi stabilitasi a Savigliano fin dal 1679, dove troviamo le prime opere. Negli anni 1699-1700 Beltramelli fu molto attivo durante la costruzione della SS Trinità di Bra, dove eseguì una fitta decorazione che incorniciò gli affreschi di S.Taricco. In questa prima opera di vaste proporzioni egli rivela una vena originale e prorompente, ricca di effetti plastici, eccitante contrappunto alla sobria ed elementare architettura della chiesa risalente alla prima metà del sec. XVII. La sua attività documentata trova felice conclusione nell'elegante ornamentazione della chiesa di S. Croce a Cuneo, costruita poco prima in base al progetto di A. Bertola. Gli stucchi vengono eseguiti, di pari passo con le pitture di G.F. Gagini, a cominciare dal 1713, in parte su disegno dell'architetto F. Gallo, in parte su disegno dello stesso Beltramelli. Le connessioni tra architettura e stucchi si sviluppano organicamente, essendo questi ultimi anche tonificati da nuovi spunti architettonici. Oltre a complessi motivi decorativi, Beltramelli eseguì statue per archi trionfali provvisori, in occasione di solenni ricorrenze. La buona tradizione della sua bottega venne proseguita, tra il 1725 ed il 1761, da Cipriano Beltramelli.


 

Charles Dauphin


Nacque in Lorena nel 1620 e apprese i rudimenti della pittura a Nancy, ma le guerre che, dal 1635 in poi, sconvolsero la Lorena, spinsero probabilmente Dauphin a cercare lavoro a Parigi. Entrò nella bottega di S. Vouet, la più brillante della capitale, dove si trovò a fianco di F. Tortebat e M. Dorigny. Tre documenti di stato civile attestano la sua presenza a Parigi. La morte di Vouet ne disperse la bottega proprio nel momento in cui, a causa dei disordini della Fronda, veniva annullata la maggior parte delle commissioni e numerosi pittori parigini erano costretti a emigrare. Successivamente è probabile che il Dauphin abbia cercato di raggiungere Roma e sia stato trattenuto a Torino in occasione del suo passaggio nella città, ma è anche possibile che egli avesse ricevuto direttamente un invito a stabilirsi a Torino, grazie a qualche protezione e agli stretti legami esistenti tra i Lorenesi e la corte sabauda. Il primo documento che testimonia la presenza del D. a Torino è del 1655, anno in cui fu nominato Priore della Compagnia di San Luca. Da allora, Dauphin non abbandonò più Torino, dove si stabilì. Numerosi documenti e incisioni permettono di ricostruire l'attività più che ventennale del pittore. Nel 1658 divenne pittore di corte di Emanuele Filiberto di Savoia, principe di Carignano, il quale, nello stesso anno, lo nominò anche aiutante di camera: il Dauphin manterrà queste cariche fino alla morte. Eseguì numerosi ritratti dei Principi Sabaudi e molti dipinti nel Palazzo Reale di Torino. Madama Reale Cristina gli commissionò poi diverse opere di soggetto religioso, da collocare in alcune chiese della città. Fra queste è da ricordare la pala dell’altar maggiore in San Francesco da Paola e alcuni dipinti del Duomo di San Giovanni. Fra le sue opere più belle ci sono le tele con i principi e le principesse a cavallo per la Venaria Reale, che si trovano nel gran salone del castello, oggi conservate a Racconigi. Morì a Torino nel 1678.

 

(Si ringrazia il Dizionario Biografico Treccani, dove potete continuare la lettura e trovare molte altre informazioni)

Pietro Paolo Operti


Pietro Paolo Operti nasce a Bra l’8 novembre 1704 e compie la sua formazione artistica a Bologna, dove si dice che abbia avuto modo di apprendere dai Carracci il significato profondo di una lezione artistica, improntata sul recupero pieno dei valori della cultura classica e del Rinascimento. Pietro Paolo Operti deve tuttavia interrompere poco dopo il soggiorno bolognese a causa del mutare delle sue possibilità economiche. Ma acquisisce ugualmente una solida formazione e assorbe modalità pittoriche ben caratterizzate, che permettono di cogliere nelle sue opere la matrice bolognese del suo stile. La sua produzione artistica si diffonde però soprattutto in ambito piemontese, con lavori nella provincia di Cuneo, di Torino e di Vercelli. A Bra, sua città natale, l’Operti decora l’interno della Chiesa di Santa Chiara, oltre alle quattro sale del Palazzo Valfrè di Bonzo, e porta a termine i lavori commissionatigli in Santa Maria degli Angeli (Piazza XX Settembre).

Inoltre, esegue tele per il Santuario della Madonna dei Fiori e per la Chiesa di Sant’Andrea. Nella Chiesa della Santissima Trinità è possibile ammirare i quattordici dipinti raffiguranti la Via Crucis (1764-1766), numerosi affreschi, fra cui il ritratto del medico Vincenzo Antonio Operti (1756-1765) e quelli della cappella del Cristo Risorto. Inoltre, gli vengono commissionati altri affreschi che si trovano a Chieri, Sommariva del Bosco e Trino Vercellese. Insieme al quadraturista* Barelli realizza gli affreschi che raffigurano soggetti mitologici di Palazzo Fracassi a Cherasco. Muore a Bra il 7 aprile 1793 e viene sepolto nella chiesa di Sant’Antonino.

* Genere pittorico decorativo diffuso nei secoli XVII e XVII, consistente nel ricorso all'illusione prospettica nella rappresentazione di elementi architettonici.


Carlo Giuseppe Plura


Carlo Giuseppe Plura (Lugano, 3 gennaio 1663 – Borgo San Dalmazzo, 14 aprile 1737) è stato uno scultore e stuccatore svizzero-italiano.

Suoi lavori si trovano a Torino (Crocifisso nella Chiesa di San Francesco d'Assisi, L'Arcangelo Gabriele e L'Annunziata nella Chiesa della Misericordia), Druento (la statua della Madonna col Bambino nella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Stella), Alpignano (Crocifisso ligneo nella Parrocchiale di San Martino di Tours), Carignano, Savigliano CN (statua del Cristo Risorto), Vasia IM (Statua del Cristo Risorto), Trino (presso l'Abbazia di Lucedio), Pralormo, Costigliole d'Asti, Saluzzo, Moncalieri, Caramagna Piemonte (CN) presso l'arciconfraternita di Santa Croce, mentre a Bra è presente, nella chiesa della SS. Trinità, il bellissimo crocefisso ligneo policromo.

 

(Si ringrazia Wikipedia, l'enciclopedia libera)

 

Sebastiano Taricco

Nacque il 26 dicembre 1641 a Cherasco. Fu pittore, architetto, prospettico e vivace colorista, direttore di apparati e festeggiamenti sacri e profani e operò presso numerose istituzioni piemontesi in epoca barocca. Si presume che abbia appreso la pittura a Bologna e a Roma durante alcuni soggiorni. Lavorò in molte città del Piemonte come Moncalieri, Fossano, Savigliano, Chieri e Mondovì. Trascorse i suoi ultimi anni fra Cherasco e Torino, dove fu priore della Compagnia di San Luca. Taricco, nella provincia cuneese, associò alla ormai collaudata abilità nell’affresco anche le attività di architetto, e quella di decoratore alla Santissima Trinità a Bra. A Cherasco, Taricco lasciò la maggior parte delle sue opere, realizzate in un clima di rinnovato fermento artistico ed economico. Nella stupenda chiesa della Santissima Trinità (Battuti Bianchi) sono conservate numerose opere di Taricco. La chiesa rimase spoglia sino al 1670, quando furono documentate le prime committenze artistiche. A cavallo tra i due secoli, Taricco era ormai un pittore affermato, noto anche a Torino, dove divenne membro dell’Accademia di San Luca e dove lavorò per la corte sabauda. La confraternita braidese si rivolse dunque a Taricco, che operò al fianco di Domenico Beltramelli, stuccatore luganese, per costruire questo scrigno di grande impatto per i fedeli e per i visitatori. Chiunque vi entri per la prima volta rimane abbagliato dalla ricchezza degli stucchi e dal crescendo di decorazioni, con giochi di luce tra il bianco degli arabeschi e i colori dei dipinti incastonati tra cornici di foglie, putti, ghirlande e strisce dalle forme geometriche. Nella suggestiva cornice della Confraternita dei Battuti Bianchi si possono ammirare, sulle pareti laterali, inquadrati in cornici con figure antropomorfe e angeli, quattro grandi affreschi di Taricco raffiguranti:

 

• La trasfigurazione di Cristo;

• La predicazione di San Paolo;

• San Pietro che guarisce lo storpio;

• La predicazione di Cristo.

 

Morì a Torino nel 1710.